Riflessioni costrette
pensieri contro la paura = Parole Nuove
Altolà! Che cosa porti? Un gelato

Paolo è a casa che mangia un gelato. Uno di quelli confezionati, di cui ti viene voglia un paio di volte all'anno. Scoppia a ridere mentre appallottola la carta della confezione. Seduto in cucina guarda fuori, Roma, città che in questi giorni "sembra in una perenne domenica pomeriggio di metà agosto" come specifica sulla sua pagina Facebook. "Per essere più precisi - mi spiega al telefono - sembra proprio una domenica alle 15 della settimana prima di Ferragosto, quando tutti, anche quelli che non si muovono mai, si sono concessi una giornata fuori porta. Solo che questa domenica non passa più".
Paolo ride pensando a quanto è accaduto poco fa, quando è sceso a comprare le sigarette ed è entrato in una tabaccheria, che è anche un bar, anche se ora questa attività è stata sospesa dalle misure di contenimento. Paolo si avvicina alla cassa e aggiunge un gelato alla sua spesa, prendendolo dal frigo proprio lì accanto. "Ah! Non te lo posso vendere" risponde l'esercente. "Ah, ok, lo metto a posto " risponde lui. Ma il ragazzo alla cassa ci ripensa. "Ormai prendilo, ma mettilo in questa busta e poi dentro la giacca, che all'uscita ci stà la videocamera". Paolo, girato l'angolo, incontra una Volante e si sente come se al posto del gelato, stesse nascondendo un panetto di droga. Si sofferma un attimo sui suoi passi, perché sa bene che per non dare nell'occhio bisogna muoversi lentamente. E poi riprende a camminare focalizzandosi sul portone di casa che oggi sembra più lontano del solito.
Chi mai si sarebbe immaginato che molte delle azioni banali e quasi automatiche che compiamo ogni giorno da sempre sarebbero diventate motivo di riflessione?
La scena raccontata fa emergere un po' di quella assurdità che stiamo vivendo. Tra le maglie delle restrizioni emergono situazioni paradossali, frammenti di azioni che, non appartenendo più alla normalità, non trovano però un posto in cui collocarsi.
"Credo che queste limitazioni, giuste e sacrosante per arginare il Coronavirus, lasceranno nelle nostre coscienze uno strascico che ci porteremo avanti a lungo. Tutto ciò ci sta facendo rivedere i confini della nostra libertà personale. Per alcuni versi la sensazione che provo è simile a quella che ho vissuto, anni fa, quando ricevetti la notizia del tumore. Non è per la malattia in sé che sono stato più male, ma per la rottura di una certezza profonda: la vita. Certo le due esperienze non sono paragonabili, ma in questo momento stiamo vivendo tutti la rottura di una certezza: la nostra libertà! Chi un mese fa si sarebbe immaginato che anche un gesto banale come l'acquisto di un gelato avrebbe messo in discussione che cosa è lecito e non lecito fare?
Riflessioni costrette
Esiste un cervello primordiale che risiede nella pancia. È quello che ci fa rispondere alla paura in base al nostro istinto e alle esperienze accumulate. È quella che ci fa sovrastimare o sottostimare un pericolo. Rappresenta il nostro punto di vista, la finestra da cui guardiamo al mondo. È quello che ci ha fatto organizzare una festa prima del Decreto o che ci aveva fatto rintanare in casa in tempi quasi non sospetti. Poi c'è il cervello che risiede nella mente con il quale raccogliamo informazioni e le analizziamo (ognuno con le proprie possibilità). È quello che ci fa formulare un'idea, ma sempre sotto l'influenza della pancia. Inoltre ci spinge ad accettare, prima o poi, le indicazioni che ci danno, quando queste, ormai, sono diventate evidenti ai più (non mi riferisco ai casi persi). E infine c'è il terzo cervello: il cuore. È quello che molte persone stanno ritirando fuori in queste settimane. Lasciamo stare chi è in prima linea, loro si meritano ben altre parole, molto più importanti. Mi riferisco a coloro che condividono idee, applicazioni, possibilità per farci viaggiare con la creatività. A coloro che prendono in considerazione gli altri, insieme a se stessi.
In questi giorni, in più di un gruppo ho visto nascere riflessioni sul fatto se fosse il caso portare avanti le proprie rivendicazioni, oppure se aspettare, perché c'è gente che sta peggio e ha più bisogno di essere ascoltata. Penso a chi si offre di fare la spesa al vicino di una certa età, a chi, che quando vorrebbe uscire non lo fa, più per l'altro che per se stessi. Si tratta di piccoli gesti, pensieri e azioni che partono dal cuore. Altruismo e gentilezza.
Credo che questa situazione ci stia facendo ritrovare il senso della realtà e anche dei suoi e nostri limiti: ciò su cui dobbiamo stare è qui, ora e noi.
Quanti meno selfie ammiccanti e autocelebrativi si stanno pubblicando in questi giorni? Certo, c'è chi utilizza questa situazione per mettersi al centro, per attirare l'attenzione, ma in genere queste persone non sono molte e credo che, povere, stiano molto male, al di là del rischio e della paura del virus.
E poi ci sono i bambini. Per loro che quasi tutto è nuovo, sono abituati a incontrare e ad affrontare qualcosa che non conoscono.
Sanno guardare senza pregiudizi, idee preconcette e con poche paranoie. Loro vivono e basta. Giorno per giorno. Ora per ora. Ada Lou ieri ha scoperto Google Maps satellite e mi ha detto: 'Se non passa, quest'estate il mondo lo giriamo così'. Quanta accettazione, che non equivale a rassegnazione, e forza in questa frase. Piedi puntati per terra e occhi dritti davanti a sé. Certo, loro si orientano in base alle nostre reazioni e ai nostri stati d'animo, ma quanto hanno da insegnarci.
'Tutto andrà bene' ci ripetiamo. Non lo so. Già non sta andando bene per tutti. Penso a tutte le persone che sono morte, a quelle che sono in terapia intensiva e a tutti i loro parenti. Non sono X donne e X uomini all'incirca di oltre 70 anni e con patologie pregresse, ma sono: Marta, una nonna che ama le riviste di gossip e andare in montagna; Carlo che ha un unico figlio, che lo chiama tutti e che vive lontano. Ma che un giorno forse al telefono smetterà di rispondere...
Tutto andrà... e spero fortemente che questa umanità ritrovata la conserveremo e la coltiveremo anche quando sentiremo meno il bisogno di stare così vicini seppure a un metro di distanza.